Nel decimo anniversario dell’uccisione di Dax da parte dei fascisti vogliamo lanciare un appello a tutte le palestre popolari, le squadre e i collettivi che praticano sport dal basso, in una logica anticapitalista, antifascista e antisessista, per creare, durante il corteo di sabato 16 marzo, un nostro spezzone. Riteniamo questa proposta importante non solo per ricordare un compagno che purtroppo non è più tra noi, ma anche perché pensiamo che la nostra pratica quotidiana si inserisca a pieno titolo in un’iniziativa di questo tipo.
Pensiamo che il rifiuto e la lotta contro il fascismo non possano essere disgiunti da una critica complessiva alla società capitalista, della quale gli assassini fascisti sono sempre stato uno spregevole cascame. Storicamente la violenza dei gruppi fascisti, sotto qualsiasi retorica si presenti, è sempre stata al servizio della conservazione del potere del capitale contro il lavoro vivo in lotta, quella lotta che apre nuovi orizzonti e dunque nuove possibilità di liberazione e che, per sua natura, non può che essere collettiva e, in linea di principio, universalizzabile. Al contrario la pratica fascista si fonda sull’esclusione e sulla violenza discriminatrice, per questo non può che essere oppressiva, strumento della reazione e della conservazione.
Oggi, in un contesto di allarmante crisi economica e sociale, migliaia di persone iniziano a rendersi conto della rapacità del capitale e dunque della necessità di organizzarsi per tentare di riprendere in mano la propria vita e il proprio futuro. I codardi fascisti trovano più spazi e appoggi che mai, pronti ad intervenire per dividere, colpire e terrorizzare. Lo vediamo in Grecia, lo abbiamo rivisto qui a Milano, dieci anni dopo l’omicidio di Dax, nell’aggressione, alla stazione centrale, di Stefano. È dunque anche attraverso la violenza, il terrore e la discriminazione praticata da questi gruppi che il capitale riesce ad imporre il proprio controllo sulla società, mortificando e dividendo, indicando nei più deboli facili capri espiatori e colpendo con la violenza chi rifiuta queste logiche. In questo modo si dà forma ad una società divisa al proprio interno, fatta di soggetti docili e dunque facili da controllare, una società mortificata nel suo desiderio di riscatto e dunque pronta a subire. Per questo motivo è innanzitutto come anticapitalisti che dobbiamo affrontare il nemico fascista come un ostacolo inaccettabile nella nostra pratica di liberazione, fatta di un discorso inclusivo, di condivisione e di riappropriazione.
In quest’ottica l’esperienza (in crescita) dello sport popolare, rientra a pieno titolo e di per sé nel novero delle pratiche di liberazione e dunque, di per sé antifasciste. Crediamo che la possibilità di praticare sport al di fuori del circuito commerciale, superando la logica dell’utente di un servizio per diventare parte della soluzione collettiva di un desiderio sociale, così come il fatto di farlo in un contesto di reale scambio e partecipazione, dove a dominare è la solidarietà piuttosto che l’adesione a modelli o stereotipi, possa veicolare almeno un primo germe che il singolo può “esportare” ad altri contesti e situazioni. In questo senso riteniamo le palestre popolari delle vere e proprie esperienze formative, delle palestre in senso lato, la cui visibilità in un corteo come quello del 16 marzo dovrebbe essere considerata fondamentale da parte di tutte le compagne e i compagni che negli anni si sono spese/i in queste attività. Per lo stesso motivo, però, lo spezzone degli sport popolari che abbiamo in mente non vuole essere solamente autorappresentativo o militante, ma semplicemente popolare come la realtà che rappresenta, dando la possibilità di partecipare a più persone possibili, anche attraverso le palestre stesse. Un canale diretto che si offre a chi partecipa e si riconosce nella pratica dello sport popolare, per avvicinarsi alla piazza e riconoscersi anche in quella.
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